Molestie nei luoghi di lavoro, il datore di lavoro non può voltarsi dall’altra parte

Quando una donna dopo avere subito maltrattamenti e molestie sessuali sul luogo di lavoro da parte di un dipendente dell’azienda decide di denunciarlo, oltre all’autore del reato, anche il datore di lavoro ne risponde nei confronti della legge. Sono per lo più le donne ad essere destinatarie sia di molestie sessuali che di condotte vessatorie e discriminatorie, che spesso assumono rilevanza non solo nel processo civile ma anche in quello penale.

“I datori di lavoro sono tenuti, ai sensi dell’articolo 2087 del codice civile, ad assicurare condizioni di lavoro tali da garantire l’integrità fisica e morale e la dignità dei lavoratori, anche concordando con le organizzazioni sindacali dei lavoratori le iniziative, di natura informativa e formativa, più opportune al fine di prevenire il fenomeno delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro. Le imprese, i sindacati, i datori di lavoro e i lavoratori e le lavoratrici si impegnano ad assicurare il mantenimento nei luoghi di lavoro di un ambiente di lavoro in cui sia rispettata la dignità di ognuno e siano favorite le relazioni interpersonali, basate su princìpi di eguaglianza e di reciproca correttezza” – Legge n. 205/2017, articolo 26 del D.Lgs n. 198/2016 al comma 3-ter.

Ne risponde pertanto anche il datore di lavoro. Quindi, l’articolo 2087 del codice civile prevede l’obbligo dell’imprenditore/datore di lavoro di apprestare tutte le misure idonee a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei propri dipendenti. “La molestia è considerata un’inosservanza del datore di lavoro all’obbligo contrattuale di garantire l’integrità fisica e morale dei suoi dipendenti imposto dall’art. 2087 c.c.” – Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 6 marzo 2006 n. 4774.

Inoltre, l’art. 2049 del codice civile afferma la sua responsabilità per il fatto illecito commesso dai propri subalterni nell’esercizio delle loro incombenze laddove non dimostri di aver fatto tutto quanto possibile per impedire l’evento dannoso dall’altro.

“Il datore di lavoro ha l’obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all’ambiente di lavoro, e, all’esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art. 28 del D.Lgs. n. 81/2008, all’interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori” – Cassazione Penale, 12 gennaio 2018, n. 1219

Il tribunale giudicherebbe pertanto l’imputato penalmente responsabile – ritenendo pienamente integrati i maltrattamenti dai ripetuti atti di violenza psicologica (apprezzamenti volgari a sfondo sessuale, richieste di incontri extra-lavorativi, battute e allusioni alternate a insulti e umiliazioni, anche alla presenza dei colleghi) e le molestie sessuali dai ripetuti palpeggiamenti in varie parti del corpo, dagli strusciamenti del corpo subiti dalla donna, dai tentativi di estorcerle baci – condannandolo al risarcimento dei danni patiti dalla lavoratrice, ma riterrebbe anche la società datrice di lavoro civilmente responsabile, unitamente all’imputato, per i medesimi danni. Riterrebbe quindi che anche il datore di lavoro – non avendo attuato le misure adeguate a tutelare la lavoratrice, sebbene messo più volte al corrente delle condotte che era costretta a subire – debba rispondere del danno causato dal comportamento illecito dell’imputato, anch’egli proprio dipendente.

In sostanza, il datore di lavoro di fronte agli atti illeciti di un proprio dipendente non può semplicemente voltarsi dall’altra parte, ma deve intervenire per interrompere i comportamenti dannosi e per prevenire la ripetizione del reato, apprestando tutte le misure adeguate a tal fine. Il datore di lavoro, infatti, può liberarsi da detta responsabilità solo se riesce a fornire in giudizio la prova (peraltro non agevole) di avere fatto tutto il possibile per evitare l’evento. In difetto, è tenuto a rispondere, solidalmente con l’autore del reato, dei danni (anche di natura non patrimoniale) che quest’ultimo abbia causato.